Autismo: Inclusione Sociale o Omologazione?

Articolo scritto da:

Luigi Croce e Irene Fusaro, Fondazione A18 per l’Autismo, Cagliari

 Introduzione

 

L’autismo rappresenta una condizione neurodivergente caratterizzata da un ampio spettro di manifestazioni che includono specifiche modalità di comunicazione, interazione sociale e comportamento (APA, 2013). Questa variabilità rende ogni persona con autismo unica, con bisogni, desideri e potenzialità profondamente individuali. In tale contesto, il concetto di inclusione sociale assume un ruolo fondamentale per migliorare la qualità della vita di queste persone (Schalock et al., 2002). Tuttavia, il significato e le implicazioni dell’inclusione meritano un’analisi critica: inclusione sociale e omologazione possono, infatti, confondersi, con il rischio di compromettere l’autentico benessere e la realizzazione personale delle persone con autismo.

Inclusione Sociale: Una Definizione e un Obiettivo

L’inclusione sociale può essere definita come il processo attraverso cui si garantisce a ogni individuo la possibilità di partecipare pienamente alla vita della comunità, rispettando le proprie caratteristiche uniche (WHO, 2001). Nel contesto dell’autismo, ciò significa creare ambienti, relazioni e opportunità che tengano conto delle specificità di ciascuna persona. Questo approccio si contrappone al modello di integrazione, che spesso si limita a inserire le persone in contesti già esistenti senza adattarli alle loro necessità (Booth & Ainscow, 2002).

Per le persone con autismo, l’inclusione sociale dovrebbe significare partecipare alla società in modo significativo, secondo i propri tempi, modalità e preferenze (Robertson et al., 2010). Ciò comporta un cambiamento di prospettiva nella società: non si tratta di adattare le persone con autismo al mondo, ma di adattare il mondo a loro, accogliendo le differenze come un valore.

Personalizzazione degli Indicatori di Qualità della Vita

La qualità della vita è un costrutto ampio e complesso, che comprende dimensioni come il benessere fisico, psicologico, relazionale e sociale (Schalock et al., 2002). Nel caso dell’autismo, gli indicatori di qualità della vita devono essere fortemente personalizzati, poiché le aspettative e le priorità variano significativamente da persona a persona.

Per alcune persone con autismo, la qualità della vita può essere legata alla possibilità di svolgere attività in ambienti tranquilli e prevedibili; per altre, potrebbe significare avere accesso a opportunità di lavoro che valorizzino le loro competenze specifiche (Howlin, 2000). Altri ancora potrebbero desiderare relazioni sociali significative ma limitate in termini di quantità. Riconoscere e rispettare queste diversità è essenziale per promuovere un’inclusione autentica.

Il Rischio dell’Omologazione

Uno dei rischi principali nell’approccio all’inclusione sociale per le persone con autismo è quello di scivolare nell’omologazione. Questo accade quando l’inclusione viene interpretata come conformità ai modelli di comportamento e funzionamento sociale dominanti, senza considerare i desideri e le necessità individuali (Milton, 2012).

Ad esempio, nei contesti scolastici, è frequente che i bambini con autismo siano incoraggiati a imitare comportamenti neurotipici, come mantenere il contatto visivo o partecipare a interazioni di gruppo che possono risultare stressanti o innaturali per loro. Sebbene queste pratiche possano essere benintenzionate, rischiano di trasmettere un messaggio implicito: “Devi cambiare per essere accettato”. Questo non solo compromette l’autenticità delle persone con autismo, ma può anche generare sentimenti di inadeguatezza e ansia.

Inclusione Autentica: Principi e Pratiche

Per evitare il rischio di omologazione, l’inclusione sociale delle persone con autismo dovrebbe basarsi su alcuni principi chiave:

  1. Rispetto per l’unicà individuale: Ogni persona con autismo ha il diritto di essere accettata e valorizzata per chi è, senza pressioni per cambiare aspetti fondamentali della propria identità (Robertson et al., 2010).
  2. Partecipazione significativa: L’inclusione non significa semplicemente essere presenti in un determinato contesto, ma parteciparvi in modo che sia gratificante e rilevante per la persona (Booth & Ainscow, 2002).
  3. Adattamento dell’ambiente: Invece di aspettarsi che le persone con autismo si adattino all’ambiente, è l’ambiente che deve essere adattato a loro, attraverso modifiche che riducano le barriere e favoriscano il benessere (WHO, 2001).
  4. Collaborazione e ascolto: Le persone con autismo e le loro famiglie devono essere coinvolte nella definizione degli obiettivi e delle strategie di inclusione (Milton, 2012).

Esempi di Buone Pratiche

Contesto Educativo

Nelle scuole, un approccio inclusivo autentico potrebbe prevedere:

  • La creazione di spazi sensoriali che offrano un rifugio nei momenti di sovraccarico.
  • L’utilizzo di strumenti di comunicazione aumentativa e alternativa per facilitare la partecipazione (Mirenda, 2003).
  • La promozione di programmi di sensibilizzazione per i compagni di classe, al fine di favorire un clima di accettazione e rispetto.

Contesto Lavorativo

Nel mondo del lavoro, l’inclusione può essere promossa attraverso:

  • La personalizzazione delle mansioni, in modo da valorizzare le competenze specifiche delle persone con autismo (Howlin, 2000).
  • La flessibilità negli orari e nelle modalità di lavoro.
  • La formazione dei colleghi per comprendere e rispettare le differenze neurodivergenti.

Contesto Comunitario

A livello comunitario, è possibile favorire l’inclusione sociale mediante:

  • La progettazione di eventi e attività che siano accessibili e accoglienti per le persone con autismo (Robertson et al., 2010).
  • La creazione di reti di supporto che coinvolgano famiglie, professionisti e volontari.
  • La sensibilizzazione della popolazione generale sulle specificità dell’autismo.

Il Ruolo della Società

Per promuovere un’inclusione autentica, è necessario un cambiamento culturale che metta al centro il valore della diversità. Ciò implica un impegno collettivo per superare i pregiudizi e le aspettative stereotipate, riconoscendo che la diversità neurocognitiva è una risorsa per la società nel suo complesso (Milton, 2012).

I media, le istituzioni e le organizzazioni possono svolgere un ruolo chiave in questo processo, promuovendo rappresentazioni positive e realistiche delle persone con autismo e sostenendo politiche e pratiche inclusive. Inoltre, è fondamentale investire nella formazione di professionisti che lavorano con persone con autismo, affinando le loro competenze per rispondere in modo adeguato e rispettoso ai bisogni individuali.

Conclusioni

L’inclusione sociale delle persone con autismo è un obiettivo nobile e necessario, ma richiede una profonda riflessione per evitare che si trasformi in omologazione. Un’inclusione autentica deve rispettare e valorizzare l’unicà di ciascuna persona, adattando gli ambienti e le opportunità alle loro caratteristiche e preferenze.

Superare il rischio di omologazione significa riconoscere che la diversità è un elemento intrinseco dell’umanità e che ogni individuo, indipendentemente dalle sue specificità, ha il diritto di essere accettato e supportato nel perseguire una vita piena e significativa. Questo approccio non solo migliora la qualità della vita delle persone con autismo, ma arricchisce anche la società nel suo complesso, promuovendo una cultura di rispetto, inclusione e valorizzazione delle differenze.

Nel caso delle persone adulte con autismo ad alto bisogno di sostegno, caratterizzate da limitazioni significative nella comunicazione verbale e, più in generale, a livello cognitivo, il concetto di inclusione sociale richiede ulteriori specificità. Per queste persone, l’inclusione autentica non può essere semplicemente intesa come partecipazione a contesti sociali generalizzati, ma deve focalizzarsi sullo sviluppo di ambienti relazionali e attività che siano realmente accessibili e significativi (Schalock et al., 2002).

Un’inclusione autentica, in questo caso, implica:

  1. Creazione di ambienti altamente strutturati: Ambienti prevedibili e organizzati, che riducano al minimo le fonti di stress e favoriscano il senso di sicurezza (Mirenda, 2003).
  2. Comunicazione adattata: L’utilizzo di strumenti di comunicazione aumentativa e alternativa, come i sistemi basati su immagini, gesti o tecnologie assistive, per facilitare l’espressione e la comprensione (Robertson et al., 2010).
  3. Supporto individualizzato: La presenza di figure di supporto formate, come operatori o educatori, che conoscano profondamente le necessità della persona e siano in grado di mediare le interazioni con l’ambiente.
  4. Promozione di attività personalizzate: Progettare attività che siano adeguate alle capacità e agli interessi della persona, valorizzandone le potenzialità e riducendo il rischio di isolamento.
  5. Coinvolgimento della comunità: Sensibilizzare le persone nei contesti frequentati (famiglie, vicini, colleghi) sull’importanza di accogliere e rispettare la diversità.

Inoltre, è essenziale che il focus dell’inclusione per queste persone non sia solo sulla partecipazione fisica, ma anche sul benessere emozionale e relazionale. Rispettare i loro tempi e modalità di interazione, senza imporre standard sociali neurotipici, rappresenta un elemento centrale per evitare che l’inclusione si trasformi in omologazione.

Queste azioni non solo migliorano la qualità della vita degli adulti con autismo ad alto bisogno di sostegno, ma creano anche una società più accogliente e inclusiva per tutti.

Bibliografia

  • American Psychiatric Association (APA). (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.
  • Booth, T., & Ainscow, M. (2002). Index for Inclusion: Developing Learning and Participation in Schools. Centre for Studies on Inclusive Education.
  • Howlin, P. (2000). Outcome in adult life for more able individuals with autism or Asperger syndrome. Autism, 4(1), 63-83.
  • Milton, D. (2012). On the ontological status of autism: The ‘double empathy problem’. Disability & Society, 27(6), 883-887.
  • Mirenda, P. (2003). “He’s not really a reader…” Perspectives on supporting literacy development in individuals with autism. Topics in Language Disorders, 23(4), 271-282.
  • Robertson, S. M., et al. (2010). Neurodiversity, quality of life, and autistic adults: Shifting research and practice priorities. Autism, 14(4), 398-409.
  • Schalock, R. L., et al. (2002). Conceptualization, measurement, and application of quality of life for persons with intellectual disabilities: Report of an international panel of experts. Mental Retardation, 40(6), 457-470.
  • World Health Organization (WHO). (2001). International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF). Geneva: WHO.

 

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